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Social, religione e felicità. La storia di Don Alberto Ravagnani

Don Alberto Ravagnani, felice

Una delle primissime tappe di Progetto Happiness è stata il Pakistan.

Solo oggi, tra Pandemia e Lockdown, e dopo un mese di Digital Detox, mi rendo conto di quanto sia stato fortunato a poter viaggiare per il Mondo in questi anni e incontrare persone straordinarie.

Una di queste è stata sicuramente l’Imam Quari Tayyab Qureshi! 

Insieme a lui abbiamo cercato di sfatare i principali stereotipi sui musulmani e sull’Islam.

La mia curiosità però mi “impone” di provare a fare lo stesso con più religioni possibili!

Ho tanti viaggi in testa per poterlo fare ma vista la situazione proviamo a partire da più vicino.

In questi mesi sui Social ho incrociato Don Alberto, un giovanissimo sacerdote che ha scelto di comunicare la sua vita religiosa con modalità “al passo con i tempi”.

Chi meglio di lui può essere disponibile ad aiutarmi in questa mia piccola ricerca?

La storia di Don Alberto Ravagnani

Ciao Alberto! Per prima cosa ti chiederei di raccontare un po’ di te per chi ancora non ti conosce…

Ciao Giuseppe! Mi presento velocemente.

Sono Don Alberto Ravagnani, ho 27 anni, sono prete dal 2018 e svolgo il mio Ministero nella Parrocchia di San Michele Arcangelo di Busto Arsizio. 

Insegno religione a scuola, al Liceo Scientifico, e a partire da Marzo 2020, all’incirca, sono attivo sui Social dove tento di svolgere anche lì la mia missione, di parlare del Vangelo, di portare la Buona Notizia e diffondere il bene. 

Sono sicuro che questa chiacchierata con te sarà super interessante! Partiamo da una domanda personale… Giovanni Cipolla mi ha raccontato di aver sempre sentito che la vita da ingegnere non sarebbe stata davvero la sua strada. Sapeva che la vita gli avrebbe riservato altro. Sapeva che avrebbe fatto altro nella vita. Come è stato il tuo percorso? Quando hai capito davvero quella che sarebbe stata la tua missione?

Da piccolo non volevo fare il prete. Sognavo di andare in America, volevo fare il giornalista e, sì, ecco, volevo occuparmi di videogiochi.

Non ero un cattolico fervente, la mia famiglia non era particolarmente credente. Non ho ricevuto la Fede in casa. 

Però andavo in oratorio, facevo l’animatore.

Qui ho vissuto esperienze fantastiche che mi hanno veramente aperto la vita e il cuore, mi hanno fatto scoprire i talenti che Dio mi ha dato. Mi hanno fatto assaggiare la felicità. 

Tutto è cambiato a 17 anni

Era estate, durante una vacanza con l’oratorio la mia vita è svoltata.

Prima di allora era come se mi sentissi bloccato.

Ero triste, c’era qualcosa che non andava ma non capivo cosa. 

Studiavo al liceo classico, andavo bene a scuola… come dire, non potevo lamentarmi di niente però non ero felice, veramente.

In quella vacanza ho conosciuto il mio migliore amico. Un amico vero…  Prima c’erano i compagnoni con cui giocare a calcio e dire stupidate. 

Ma Andrea è stato la prima persona con cui mi sono confidato.

La corrispondenza con lui mi ha veramente aperto il cuore e poi ho fatto esperienza di Dio.

Ti starai chiedendo come…

Facendo esperienza di me, delle mie miserie, delle mie fatiche, delle mie fragilità. 

Mi sono reso conto di quanto il rapporto con i miei genitori fosse difficile, di quanto questa cosa mi avesse bloccato, deluso, di come fosse questo forse il problema della mia vita.

Ma non me ne ero mai reso conto.

La delusione e la percezione di non essermi mai sentito voluto bene abbastanza mi aveva dilaniato in quel momento. 

Era come se mi si fosse aperta una ferita che già c’era dentro il mio cuore.

Da quella ferita, però, da quella consapevolezza negativa è nato qualcosa, o meglio è entrato qualcosa.

Quelle ferite, come delle feritoie, sono state il passaggio perché l’amore di Dio riuscisse ad arrivarmi. Mi sono confessato e dopo quella confessione forse sono proprio cambiato!

Quelle consapevolezze negative non le ho vissute come una condanna ma paradossalmente come un punto di partenza per una vita diversa.

Comunque non ho attribuito tutto a Dio all’inizio. Questa cosa è venuta fuori dopo un po’. 

Tornato a casa da questa vacanza ero felice, ero una persona diversa. Gli altri facevano fatica a riconoscermi e contemporaneamente mi sentivo avvolto da tante domande esistenziali che non mi ero mai fatto fino in fondo. 

Più me le ponevo più mi rendevo conto che spesso e volentieri pensavo a Dio, a quello che avevo vissuto in vacanza, a quello che stavo provando in quel momento

Il pensiero nei confronti di Dio era naturale, come se fossi innamorato, attratto…

Questa situazione è stata talmente forte che a un certo punto mi sono fatto questa domanda: “ma se da grande facessi il prete?”

E quando ho dato un nome a questo cosa, mi sono “fregato” perché l’ho presa sul serio e sono arrivato fin qui.

DIVENTARE PRETE OGGI

Come è stato scegliere la strada del sacerdozio in una società come la nostra? Quali sono le state le reazioni delle persone a te vicine?

Scegliere la strada del sacerdozio poi è stato naturale, in realtà. Ero innamorato di Dio. 

Ho scelto di entrare in seminario, quindi di verificare questa possibilità, di scommettere, diciamo così, sul rapporto con Dio che mi stava facendo bene, che tanto mi aveva aperto il cuore e la vita.

Certo la società di allora, avevo 19 anni quando ho deciso di entrare in seminario, forse non vedeva propriamente di buon occhio, o come normale, tutto questo. 

Diciamo che non faceva il tifo per una scelta del genere. Tuttavia, francamente non mi importava. Avevo fatto un’esperienza di Dio molto forte ed ero veramente innamorato. Non ho potuto fare altro che seguire il mio cuore.

Le persone a me vicino non mi hanno capito. I miei genitori e la mia famiglia non hanno compreso, mi hanno remato contro. Questo mi ha fatto bene, perché mi ha messo alla prova. 

Nel momento in cui io mi sentivo ostacolato da quelli a me più vicini ho capito che quella scelta era quella giusta, quella che potevo fare.

I miei amici sono stati felici, perché mi hanno visto felice, anzi.

Sono stati sorpresi, certamente, però sono stato ben contento io di essere accompagnato e sostenuto dalla loro amicizia.

Una ragazza, invece, che aveva altri progetti nei miei confronti c’è rimasta abbastanza male. 

È rimasta scottata da questa mia scelta però quando si è resa conto che io ero felice, ha saputo in maniera molto bella, sana, generosa, dirmi “va bene, vai avanti per la tua strada”.

Gli stereotipi della religione Cattolica

Insieme all’Imam ho affrontato tre grandi stereotipi sulla religione musulmana: violenza, ruolo della donna ed esclusività.  Per quanto riguarda il cattolicesimo, a tuo avviso quali sono i 3 più grandi stereotipi e pregiudizi da sfatare?

Il cristianesimo cattolico si concretizza nella sua Chiesa e il primo pregiudizio è che la Chiesa sia “ricca”.

Quante volte hai sentito dire che la Chiesa è piena di soldi e di possedimenti, che il Vaticano è lo stato più ricco del Mondo, che potrebbe sfamare tutte le persone povere del mondo intero. Questo è un grande pregiudizio. 

Non è assolutamente vero, la Chiesa non è ricca, o meglio, sì ha dei soldi, dei beni, dei possedimenti… le chiese, le opere d’arte, però questo è un patrimonio che ha un valore non meramente economico di tipo monetario. 

Ha un valore artistico, sociale, educativo che è inestimabile. 

La Chiesa vive nel mondo, ha a che fare con i soldi e usa i soldi per i propri fini cioè per il Vangelo e per diffondere il Vangelo attorno a sé nel mondo, per amare le persone, per prendersi cura dei fedeli, de fedeli e non solo dei fedeli.

La chiesa usa i soldi per fare del bene, costruire chiese, oratori, per fare la carità, per pagare le bollette degli oratori dove i ragazzi crescono, giocano, si divertono e vengono formati etcetera… 

Non è vero che la Chiesa è ricca, o meglio la Chiesa secondo me è troppo poco ricca: se fosse più ricca sicuramente potrebbe fare ancora più bene.

Secondo stereotipo è che la Chiesa sia maschilista. 

La chiesa vive nel mondo e ha sempre vissuto dentro le dinamiche della società, tentando di superarle e di essere discontinua, pur dentro la continuità, in un epoca sociale con la sua cultura.

La chiesa sicuramente è stata maschilista durante tante e brutte e storie, dove anche la società stessa era maschilista.

Oggi la Chiesa forse vive ancora certe dinamiche maschiliste, potremmo dire così, ma perché la società le vive

Di per sé la Chiesa, il messaggio di Gesù, il Vangelo non ha nulla a che fare con il maschilismo, anzi. 

Gesù è stato colui che dentro una cultura molto maschilista ha dato tantissimo spazio e rilievo alle donne. 

Le donne hanno un ruolo importantissimo nel Vangelo e avevano un ruolo importantissimo nelle prime comunità cristiane

La Chiesa ha dato sempre grande spazio, dignità, alle donne.

Ci sono tante donne sante nella storia della Chiesa che hanno tanto bene, che hanno avuto rilievo nonostante si vivesse in epoca dove in realtà la donna non veniva considerata molto. 

Oggi le donne sempre di più nella chiesa occupano ruoli di guida, all’interno delle comunità parrocchiali, nei consigli pastorali degli oratori, nelle cooperative, nelle Caritas.

Sono le donne spesso e volentieri a portare avanti la baracca e questo viene vissuto in maniera pacifica. 

Agli occhi di Dio, agli occhi della Chiesa siamo tutti uguali con pari dignità. Gli uomini e le donne, come diceva San Paolo.

Terzo stereotipo è che la chiesa sia “retrograda”. 

La Chiesa è fondata sui propri principi, è ben piantata su dei valori. 

Porta avanti la tradizione, una tradizione teologica, umorale, sociale, spirituale che affonda le radici nel Vangelo. 

La Chiesa vive nel mondo, e ogni giro della storia si confronta con le domande proprie di quell’epoca. 

La morale della Chiesa è però sempre la stessa, ci sono alcuni punti, alcuni valori, alcuni principi che sono irrinunciabili e che poi vengono modulati di volta in volta a ogni epoca per fare fronte alle questioni che l’epoca pone. 

La Chiesa segue il Vangelo. Il Vangelo non è mai retrogrado, anzi è nuovo. Il Vangelo è la possibilità di vivere in maniera nuova, divina, la propria umanità, nelle relazioni, nel rapporto con se stessi, nel rapporto con Dio, nel rapporto con i soldi, nel rapporto con il male e con il bene. 

Il fatto che il mondo oggi la pensi diversamente rispetto la Chiesa su alcune questioni non significa che il mondo sia più avanti o che la chiesa sia più indietro, significa piuttosto che ci sono delle divergenze di principio, però. 

Ci sono delle visioni dell’uomo e della vita che sono diverse e la Chiesa non è retrograda, e neanche ideologica. 

A volte trovo più ideologia nel mondo che dentro la Chiesa. 

O meglio, perché la Chiesa, come dire, fonda i suoi principi sul Vangelo e sulla tradizione, ed è capace di argomentare le proprie scelte a partire da un principio che è fuori di sé ed è il Vangelo. 

Tante ideologie moderne e contemporanee invece sono veramente tali, sono ideologie perché si giustificano a partire da delle idee. 

Parlando con l’Imam mi ha anche sottolineato come esistano tanti punti di contatto tra le diverse religioni. Quale pensi possa essere la strada per un sempre maggiore dialogo?

La strada per un maggior dialogo è la fraternità. Siamo fratelli tutti, come per altro dice Papa Francesco nella sua ultima Enciclica.

Il riconoscimento che sotto la paternità dell’unico Dio possiamo scoprire che ci sono dei legami oggettivi che ci uniscono.

Questo è il punto di partenza primo, più basilare e fondamentale a partire da cui gli uomini possono essere di fatto uniti al di là delle differenze, delle divergenze culturali ma anche soprattutto religiose.

Nel momento in cui ci scopriamo fratelli possiamo capire che possiamo essere fratelli diversi, fratelli maggiori o minori l’uno per l’altro, un fratello che può essersi allontanato rispetto all’altro, però siamo sempre fratelli.

C’è un legame oggettivo che ci lega nonostante le differenze. A mio fratello fondamentalmente io voglio bene perché è l’evidenza della nostra origine comune. Tanto più sappiamo stare davanti agli altri come fratelli, tanto più ci ricordiamo di chi ci ha messo al mondo, cioè di Dio, che è uno per tutti.

Don Alberto, i Social e i “superiori”

Ti considero una persona presente sui social in maniera super intelligente e utile ma immagino che non sia tutto rose e fiori. I tuoi “superiori” hanno accettato questo tuo modo di comunicare?

I miei superiori certo hanno accettato e accolto e stimano e supportano questo mio modo di comunicare.

La Chiesa sta facendo dei grossi passi in avanti verso il mondo della comunicazione che oggi permetterebbe al Vangelo e al messaggio della Chiesa di raggiungere tante persone in maniera efficace.

La Chiesa varia, vive nel mondo, ci sono diverse chiese con culture nelle diverse. Nelle chiese ci sono età e provenienze diverse, orientamenti diversi.

Per cui non esiste un pensiero univoco rispetto a niente, nemmeno verso la mia azione. C’è chi mi supporta, c’è chi mi critica, c’è chi vede come un salvatore della Chiesa o come una rovina della Chiesa. C’è chi dice che sono un conservatore, chi un progressista.

Non c’è molta unità ma lo comprendo. D’altra parte quello che vorrei dire è che i social network sono uno strumento, un luogo, un contesto da abitare nei modi che la Chiesa ha sempre usato per abitare i contesti che di volta in volta ha vissuto. 

Oggi il Mondo vive anche nel mondo dei social network, di internet e della comunicazione. Se noi vogliamo arrivare dappertutto a portare il vangelo fino agli estremi confini del mondo dobbiamo avere il coraggio di sbarcare in questo “sesto continente” che è il mondo dei social. 

Qualcuno ancora non lo sta capendo ma penso che sia un passaggio, una frontiera inevitabile. 

Don Alberto Ravagnani, in oratorio

I PROBLEMI DEI GIOVANI

Insieme ai ragazzi di Stimulus Italia abbiamo parlato dell’importanza della figura dello psicologo e di chiedere aiuto anche per le persone più giovani. Immagino che tu parli con tantissimi ragazzi: quali sono i problemi più grandi che si trovano ad affrontare oggi?

Credo che i problemi dei giovani siano la orfanezza e la solitudine.

Questi giovani a volte si sentono orfani di padri e madri, di istituzioni, di adulti credibili. Un ragazzo, un adolescente che vive una età  dove è strutturalmente fragile, debole, insicuro, ha bisogno di qualcuno accanto a sé più grande, più solido, più forte, credibile che non vuol dire che non abbia fragilità ma che abbia saputo integrare le proprie fragilità nella propria vita, che le abbia potuto accogliere e fare un punto di forza.

Degli adulti che sono capaci di prendersi le loro responsabilità, che sanno abbassarsi per prendersi cura anche del più piccolo, che hanno trovato una ragione per vivere, che hanno saputo legarsi a qualcuno in un rapporto stabile, dedicarsi a una passione che coinvolga tutta quanta la loro vita… Senza qualcuno di adulto, di credibile e solido i ragazzi fanno fatica a crescere.

Crescono soli, fragili, insicuri e guardano alla vita con timore, non come una promessa, non con fiducia.

Il secondo problema connesso al primo è la solitudine. Senza dei padri accanto a te tu difficilmente riesci a sentirti figlio, difficilmente riesci a stare bene con te stesso e con i tuoi fratelli, che neanche vedi come fratelli.

Viviamo tra l’altro in una società molto individualista che è un po’ vittima delle passioni tristi e ti porta a pensare solamente a te stesso, al tuo benessere, ai tuoi bisogni, ai tuoi desideri, a te e alla tua vita senza considerare gli altri. Mentre invece non possiamo fare a meno di chi ci sta accanto perché nessuno si salva da solo e nessun uomo è un’isola.

Abbiamo bisogno di rapporti come dell’acqua che beviamo e dell’aria che respiriamo. Però in realtà il rischio è che questa società ci porti a vivere in maniera individualista e questo ci rende soli.

LA FELICITÀ

Se hai accettato questa intervista sai che alla fine saremmo arrivati a parlare di felicità e sono veramente contento di poterti fare queste domande. Che cos’è la felicità per la religione cattolica e per un credente?

Per il cristianesimo la felicità è sentirsi amati da Dio.

La scoperta, l’esperienza che Dio ci ama attraverso il suo figlio, Gesù, che è venuto al mondo per manifestare il suo amore e per renderlo sperimentabile.

La Chiesa che diventa la possibilità concreta di fare esperienza di questo amore.

Per concludere torniamo a te, a Don Alberto… Non so se sei arrivato preparato ma l’ultima domanda è d’obbligo per tutti: che cos’è per te la felicità?

Per me la felicità è aver trovato il mio posto nel mondo e da qui vestire tutta la mia vita, donare tutta la mia vita per produrre frutto. 

Felix, in latino significa fecondo, arbor felix era l’albero da frutto.

Felice è la vita di chi è fecondo, di chi con il suo tempo, le sue energie, le sue passioni, i suoi carismi, insomma con la sua vita produce frutto per altri. 

Si può produrre frutto nel momento in cui uno ha capito dove deve stare, dove è che Dio lo ha piantato. 

Qual è il terreno in cui può affondare le radici per tirar fuori la linfa in grado di farti produrre dei frutti che poi possono essere goduti da altre persone.

Grazie mille per aver risposto alle nostre domande! Ora non mi resta che augurarti buona fortuna per il tuo primo libro “La tua vita e la mia”… non vedo l’ora di leggerlo!